Era destino che ti avrei incontrata qui, senza più dirci addio

22.06.2023 ore 20.30 - Firenze

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    HAZEL O'CONNOR
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    Guardare fuori dall’oblò dell’aereo le ha causato un’emozione frizzante, simile ad un entusiasmo sotto pelle incredulo, ancora trattenuto prima di essere espresso. Hazel ha avuto la sensazione di essere tornata indietro nel tempo, a quando quei viaggi verso Firenze avevano rappresentato crescita ed indipendenza, un cambiamento inevitabile della propria vita; ma ora accanto a sé c'è quel tassello che allora era mancato, la persona a cui ha scritto chilometri di lettere mai spedite, raccontando sensazioni ed esperienze che non avrebbe mai potuto esplicare a voce. Allora non aveva idea di dove fosse Romée, quale fosse stata la direzione presa dalla sua vita, se non la certezza che avesse deciso di condividerla con qualcun altro. Eppure, su quell’aereo era con lui, con Romée e tutto è sembrato andare al proprio posto, come perfetto l’incastro della sua testa reclinata contro la propria spalla, della sua grande mano racchiusa con la propria, dei baci che gli ha dato sulla fronte anche quando l’ansiolitico ha fatto effetto, lasciandolo piombare in un riposo leggero, appena accennato. Hazel, invece, è stata tutto il tempo a guardare fuori dall’oblò con lo stomaco annodato, ma di una sensazione felice, che è parsa addensarsi sempre di più man mano che Amsterdam e i suoi canali sparivano per far spazio al profilo del lungo stivale e poi, sempre più vicini all’arrivo, ai colori vividi della campagna toscana. Non appena ha riconosciuto le fattezze del centro storico, il sorriso le si è sciolto sul viso, l’è parsa quasi una liberazione essere così lontana da casa, dalla sua famiglia, dai problemi degli ultimi mesi, dai giudizi, le critiche e le paure personali. Si è ripromessa, Hazel, di lasciare ogni cosa fuori per viversi quel piccolo sogno estivo adolescenziale con Romée, come ha sempre voluto; e quando girandosi ha trovato i suoi occhi azzurri ad osservarla, senza che se ne fosse resa conto, si è detta che non avrebbe desiderato nient’altro di altrettanto perfetto. Fregandosene di essere ancora in fase di atterraggio, si è protesa in avanti con il sorriso sulle labbra a scontrarsi con quello piccolo e timido di Romée, in un bacio entusiasta, con i grandi occhi brillanti ha detto « Siamo arrivati. »

    Dopo quel momento, le ore successive sono trascorse con l’arrivo all’albergo affacciato sul centro, l’assegnazione della stanza, un tuffo su quei due lettini singoli che, ora, ad Hazel è parso estremamente stupido aver richiesto. Ma va bene, è tutto perfetto, tutto profuma di buono, almeno la vasca è grande abbastanza per due e hanno un balconcino che da sulla strada dove potranno anche fare colazione. Con le mani strette alla balaustra, Hazel ha respirato l’aria di Firenze, quel clima tipico di estate italiana che raccontano nei film, il chiacchiericcio per le strade storiche anche a pomeriggio inoltrato, l’odore di cibo che viene dal basso da chissà quale dei tanti ristoranti o piccoli locali d’asporto. Deve ammetterlo, quel momento è stato solo per lei, quasi per ricongiungersi ad una sé decisamente più giovane, più ingenua, più spericolata, per ricalcare col gessetto quella strada verso la leggerezza, al ritrovamento di sé stessa, che ha iniziato a calcare solo nelle ultime settimane con la firma del contratto del suo nuovo appartamento, la ricerca dell’arredamento, l’acquisto di una bicicletta nuova, la fine della scuola. A stento si è resa conto dei movimenti di Romée, all’interno della stanza, ma ha lasciato spazio anche a lei per trovare il suo equilibrio in tutte quelle novità, anche solo per disfare la valigia e impilare gli abiti nel suo sacro ordine. Sono cose in cui sono molto diverse, ma che ha imparato a rispettare e amare, a cui dare il giusto ascolto e peso.

    Solo più tardi, Hazel ha deciso che la tregua fosse durata abbastanza. Come una bambina entusiasta ha detto solo una frase « Ci sono tante cose che voglio mostrarti » e le è bastato per rispolverare decine di itinerari che ha immaginato di condividere con Romée almeno dieci anni prima. Si sente così stupida a ricordarli tutti e, invece, così grata nel riconoscersi e riconoscere le strade, man mano, con sempre più sicurezza, come riprendere ad andare in bicicletta dopo un lungo periodo di stop. La mano di Romée nella propria non è una zavorra, è solo la mano che tiene il filo del suo aquilone e le impedisce di volare via troppo lontano dal suolo ora che l’entusiasmo la travolge e farebbe di corsa mezza Firenze, come se non avessero abbastanza tempo per fare tutto, per mostrargli tutto quei posti in cui ha immaginato di stare assieme prima ancora che potessero averne davvero l’occasione. « Giuro che ne varrà la pena » accenna sui tanti gradini che le separano da Piazzale Michelangelo, ha scelto apposta di farlo in tempo per il tramonto, quando l’aria è appena più leggera… quando il sole arancio, sulla linea dell’orizzonte, bacia il profilo di Firenze per un’ultima volta prima di lasciare spazio alla luna. E da lì, uno dei suoi posti preferiti, appoggiata al muretto del belvedere con tutto il paesaggio della città che si staglia sotto di loro, è come se la consapevolezza di essere davvero lì, con Romée, colpisca Hazel tutto di un colpo lasciandola un po’ senza fiato. O forse a lasciarla senza fiato sono i suoi occhi così chiari che sanno sempre trovarla al momento giusto. Così, anche se c’è tutta Firenze da ammirare, lì davanti, lei guarda Romée, il suo viso baciato dalla luce dell’ora dorata che rende il suo sguardo ancora più impossibilmente limpido. Le labbra di Hazel si arcuano lievemente verso l’alto mentre pensa che sarebbe perfetto dirle che la ama, proprio ora, ma annoda le parole in gola come una promessa sul cuore. « Ho pensato spesso a te, qui. » dice, piuttosto, mentre la fossetta le si disegna sulla guancia e un leggero rossore le scalda il viso « Ti piace? »
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    Romée Van Den Hoek
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    Non ha viaggiato molto, nella sua vita. Non saprebbe nemmeno dirsi il perché, ora che siede al fianco di Hazel e l’aereo prende a decollare e le gocce che ha preso iniziano a fare il loro effetto. La cabina si fa d’improvviso più silenziosa, la presa attorno al bracciolo del sedile più lenta, la testa pesante, mentre si incastra tra la spalla ed il collo di Hazel, lì dove ogni cosa profuma di buono e di casa. Non ha idea di come sia fatta Firenze: certo, ciò che sa di quella città l’ha appresa sui libri, ed è anche vero che negli ultimi anni ha lasciato l’Olanda una manciata di volte, ma non è mai stato come quello. Ha pensato molto a cosa aspettarsi da quel viaggio, anche quando nel riempire la propria valigia, sistemata minuziosamente, si è chiesto quale fosse il peso da dover trascinare al suo interno. Quali le aspettative? Quali i soli desideri? Il tempo sembra essere volato, materializzandosi in attese che le sono sembrate infinite, fino a quando l’aereo non ha preso il volo e con loro, oltre il cielo, è svanita anche un po’ di quella pesantezza che il loro rapporto s’è sempre trascinato, fatta di responsabilità, omissioni, aspettative. Amsterdam è casa sua, casa loro, ma è stato semplice lasciarla svanire oltre il suo sguardo vacuo, la mano stretta attorno quella di Hazel, gli occhi socchiusi d’un sonno leggero, per permettere a qualunque altro posto nel mondo di accoglierle come nuove. Come se a sedere sui sedili nella tredicesima fila ci fossero la Romée e la Hazel delle sue lettere, che ha custodite ancora tutte. Le basterebbe uno sguardo negli occhi di Hazel per vedersi più giovane, libera come lei ha forse potuto immaginarla.
    Firenze si spiega davanti ai loro occhi, le forme dei palazzi e dei monumenti che vede anche dall’alto del finestrino si fanno lentamente sempre più grandi, reali. Reali come lo sono loro, lo è quella sensazione che sente al petto quando per qualche momento non è alla città che presta la sua attenzione, ma al viso della passeggera che ha di fianco, alla quale stringe e bacia le dita della mano che l’ha tenuta, ferma, tranquilla, protetta al suo fianco per tutta la durata del viaggio. L’aereo trema e vibra ovunque, quando stanno per atterrare, ma a Romée non interessa, fintanto che nel viso si crea un sorriso e può allungarsi per ricambiare il suo bacio. Sono arrivati; non soltanto lo vede, ma lo percepisce, lo sente, dentro di sé.

    Anche l’albergo è bello, semplice, le piace. Simile a come era nelle foto. Ha l’abitudine di controllare in maniera estremamente minuziosa le foto dei posti in cui pernotta, per non trovarsi impreparato. La camera però l'ha stupita positivamente - e per Romée è cosa assai rara -, forse unico neo solo quei due letti singoli, che ha osservato con un sorrisetto dipinto sulle labbra sottili, quando ha aperto la porta e posato al fianco di uno dei letti la propria valigia. La verità è che dalla rottura di Hazel e dell’ex fidanzato ci sono stati dei momenti, tra loro. Baci, tocchi, abbracci, strette di mano. Si sente sciocco ora a desiderare un letto grande per poterla stringere a sé, baciarle il viso ed i capelli la notte prima di dormire, svegliarsi e reclamarla coi suoi baci, come è successo già, delle volte. Ma sa che è diverso, ora, che ci sono delle cose che sono dovute cambiare per forza. Non è un male, è semplicemente – diverso. E mentre l’effetto delle gocce scema ed i sensi si risvegliano, e dal basso percepisce voci, rumori, suoni, odori, lascia che Hazel si muova come vuole. Uno sguardo soltanto è quello che rivolge alla valigia di lei, mentre apre la sua ed inizia a sistemare in maniera impeccabile, estremamente ordinata, i propri vestiti. Non le piace che rimangano in valigia, e ci tiene che le sue cose siano tenute con cura. Ma d’altronde, è sempre stato così. Quel silenzio non è strano, e mentre ordina le proprie cose, lancia uno sguardo ad Hazel, che si muove tutto attorno. Nel bagno, vicino gli armadi, fuori al balconcino. Lo ha capito appena l’ha vista e ha lasciato anche a lei il suo tempo, i suoi momenti. C’è una parte di Hazel che non conosce, quella delle lettere che ha sentito intima e vicina solo su carta. Ora però la vede, la riconosce, la rispetta e la attende, mentre pian piano ogni cosa prende forma e prende posto. Sistema infine la manica di una delle sue camicie finalmente appese dentro l’anta dell’armadio reclamata come propria. Ora sì, che tutto pare essere in ordine.

    Le piace la gioia di Hazel, lo sguardo nel quale ritrova sempre quell’entusiasmo che Romée spesso teme d’avere perduto. Delle volte basta un solo istante per perdersi nel colore dei suoi piani e dei suoi progetti: sempre così vivi, brillanti, un contrasto costante coi propri. L’entusiasmo di Hazel è come una bevanda calda durante un brutto inverno, in grado di stringerla forte. Le fa bene, è una delle cose di Hazel che le ha sempre fatto bene, da quel loro primo progetto insieme, quando di anni ne avevano entrambe molti meno e bastava una sua battuta per farla sorridere genuinamente. La mano che le stringe è salda, la tiene per terra, con lei, e si fa trasportare di tanto in tanto un po’ in altro, pronto -a sprazzi- a librarsi verso il cielo. Vuole che le mostri ogni cosa, che le racconti tutto. Ciò che sa, ciò che fingerà di non sapere, ciò che non conosce. « Non sono stanca » è la verità, che pronuncia quando percorrono i gradini, anche se fa caldo. Ma Romée, sempre un gradino avanti, non le lascia mai la mano. Anche se lo deve ammettere: Firenze è bella, è un quadro che si dipinge in tempo reale dinnanzi ai suoi occhi, man mano che le iridi azzurre ne scorgono un nuovo dettaglio dopo l’altro. Le cattedrali, i ponti e le basiliche che riesce a vedere. Però, Romée lo sa, che nulla pare tenere il confronto col profilo della donna che ha di fianco, sul cui viso lo sguardo si posa come se avesse paura da un momento all’altro che possa svanire, troppo bella per essere vera. E così, quando ha ancora la vista ancorats al binocolo dinnanzi a sé ed un sorrisetto si forma sulle labbra, non insensibile ad una bellezza che forse come entrambe, nessun altro potrebbe comprendere appieno, la mano si allunga nella sua direzione, per sfiorarle da sopra al muretto le dita, stringerle nelle proprie. Il cuore batte veloce a quell’ammissione che in realtà già conosce, ma come se fosse una sorpresa, il petto balza ed i suoi occhi si fanno morbidi, ora che si muove e si fa di nuovo vicina ad Hazel. « È un bel posto in cui pensarmi » le dita si allungano, il pollice tocca quella piccola fossetta nella guancia, esita qualche momento proprio lì dove la pelle si increspa, prima di avanzare e piegarsi leggermente in avanti, come per dirle un segreto, quando invece ciò che fa è semplicemente poggiare il mento sulla sua testa, socchiudere gli occhi, prendere un profondo respiro. « Mi piace » conferma, e le dita dalla fossetta si aprono una carezza. Quando glielo dice però non guarda Firenze, né la linea del cielo, o l’orizzonte dipinto d’oro che illumina Hazel come se fosse parte di un magnifico ed enorme dipinto. È a lei che guarda, piccola, vicinissima a sé, tanto che non ci impiega nulla per allungare un braccio e farla più vicina ancora. « Te la ricordavi così? »
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    HAZEL O'CONNOR
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    « Lo è » ma la voce sta già sfiatando sotto il tocco di Romée, istintivamente compie quel passo che basta per avvicinarsi e allungare le braccia per avvolgerle la vita, le piccole mani aperte contro la sua schiena di cui percepisce il tepore al di sotto del tessuto sottile della camicia. Socchiude gli occhi, Hazel, affondando il viso contro il collo dell’altro, ne ispira l’odore senza curarsi degli altri turisti, dei passanti, di chi potrebbe formulare un giudizio affrettato: si è preoccupata fin troppo, in questi mesi -anzi, anni- di cosa pensavano gli altri, fino ad incasinarsi la vita, ora quel che conta è ciò che sente lei. Non vuole più lasciare che interferenze rovinino quel che di bello c’è, tra lei e Romée, loro che come in una favola disordinata si sono inseguite negli anni. È vero che pensava a lei, proprio lì, chiedendosi come sarebbe stato se avesse avuto il coraggio di dirle proprio tutto, ricostruendo giornate intere da passare assieme, luoghi da visitare. Le sembra incredibile che siano davvero lì, insieme, eppure quando sposta il viso e si fa indietro quel poco che basta per inclinarlo verso l’alto, Romée la tiene tra le braccia e le sorride e Piazzale Michelangelo, Firenze intera, non è mai stata così vera, così bella, così perfetta. Sembra titubare, però, sulla risposta, di proposito mentre le labbra si inarcano e gli circonda il viso tra le mani, i pollici che sfregano sulla curva degli zigomi dell’altra. Gli occhi di Romée sono azzurri quanto il cielo sopra di loro. « In realtà, mi sembra ancora più bella. » accenna, ma non ha distolto l’attenzione neppure per un attimo dal viso dell’altro, ché il profilo di Firenze per quanto bellissimo non può comunque reggere il confronto. E alla fine si rende conto che, per quanto adori quel posto, la vera magia è essere con Romée. « Tu sei bellissima. » bisbiglia, schioccandole un bacio tra il mento e il labbro inferiore, come se dovesse confermare il pensiero precedente « Mi sembra un sogno essere qui, insieme. » ridacchia, dandole un bacio sulla punta del naso « Dobbiamo fare delle foto, devo riempirci casa, ho portato anche la polaroid. »
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    Romée Van Den Hoek
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    È una brezza leggera quella che gli accarezza il viso, interrompendo per qualche momento il caldo dei primi giorni d’estate. Quello che prova è bello, le basta socchiudere gli occhi, celare lo sguardo al cielo e rivolgerlo nelle iridi scure di Hazel, per sentirsi solo con lei in una città che potrebbe essere grande quanto l’universo intero. Firenze è bella, certo, e a guardarla i suoi occhi di architetto potrebbero stupirsi con una facilità estrema, disarmante, ma la verità è che a ciò che ha davanti non presta realmente attenzione. Gli occhi sfiorano la cupola, si trattengono qui e lì, ma senza osservare come le sarebbe dovuto. È alle sensazioni che presta attenzione, al profumo di Hazel che le arriva vicino quando il vento si alza appena, al suono cristallino della sua voce che a differenza di tutte le altre non è solo familiare, ma non si mescola nel frastuono. E poi è al suo abbraccio e alle sue mani che si aggrappa, e finalmente, sente. Le piace quando lo sfiora, quando lo tocca, le piace quando può stringerla a sua volta tra le braccia e farsi piccola su di lei, protettore e protetta in un singolo abbraccio, che profuma di vissuto, avventura, casa, sconosciuto. Le labbra di Romée si aprono in un sorriso; la verità è che potrebbe accadere qualunque cosa, lì, ma non le importerebbe. La terra potrebbe spaccarsi in due e tutto ciò a cui presterebbe attenzione sarebbero gli occhi di miele di Hazel, il suo sorriso, quella felicità giovane, addirittura adolescente, che ha stampata sul viso. Le piace credere che sia anche causa sua, quella felicità. Il fianco si poggia contro ad uno degli stangoni di pietra, le braccia la circondano come se trovarla lì, petto contro petto, il suo viso a qualche centimetro dal proprio, in quel paese, sia forse la cosa più bella e naturale che sia mai accaduta in tantissimo tempo. Si stupisce, nel guardarla, a pensare quanto sia cambiato in quei mesi e quanto allo stesso modo non sia cambiato assolutamente niente. L’abbraccio di Romée è forte, dalle spalle un braccio scivola sino a circondarle la vita, l’altra mano, a scostarle alcune delle ciocche rosse di capelli dal viso. Se anche è vero che Romée non è poi tanto appassionata di viaggi, percorrerebbe il mondo a piedi per vederla così, sempre. « Mmh » mormora, il sorriso si fa furbo; deve costringersi a tenere gli occhi socchiusi per poterla guardare, che il sole ora picchia proprio all’altezza dello sguardo. « No » poi aggiunge, in un gioco stupido, al quale partecipa prima di allungare le labbra e baciarle una tempia. « Tu sei bellissima » bisbiglia al suo orecchio. Nemmeno le importa di chi possa guardarle, cosa il resto del mondo possa pensare. Ha imparato a non farlo molto tempo prima, per un po’ ha dimenticato cosa significasse, ma ora che le sfiora la schiena con le dita e tutto quello che vorrebbe fare è stamparle un bacio sulle labbra, realmente non le importa più. « Sai cosa dovrò regalarti, allora? » le domanda, ma non attende una sua risposta, perché quando lo fa Romée, spinge le labbra in quello spazietto tra il naso e le labbra, appena sopra l'arco di Cupido. « Qualche cornice, per appenderle dove vuoi come fanno le persone grandi »ridacchia; attende qualche momento, la presa attorno allo stomaco si stringe, ma non è una brutta sensazione, non fa male. È quanto più emozione, un’emozione bella, ricca, vivida, che colorerebbe di cento e più colori. « Hai ragione, è una bella città » concorda, ma in vero, Romée alla città non ha affatto prestato attenzione, non fino a quel momento, perlomeno. « In realtà vorrei un posto per sederci – tu no? Intendo qui, ma magari un po’ in disparte » suggerisce, quando muove il viso per poterla osservare, con quella fossetta che stringerebbe tra i denti e poi bacerebbe a fior di labbra, bella « Una foto però qui ce la facciamo, prima di andare. Anche perché sei bella, sarebbe un peccato dimenticarcene. »
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    HAZEL O'CONNOR
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    Si accorge di come lo stato d’animo di Romée muta, semplicemente da come la sua espressione si modella; il suo viso è un libro aperto a pochi. Quel segreto le piace, le è sempre piaciuto comprendere in silenzio e capire che dietro a quegli occhi azzurri c’è un mondo dentro cui è dato immergersi solo a lei. Le braccia di Romée la fanno sentire al sicuro, le danno la sensazione che gli occhi indiscreti di cui è sempre stata vittima, non potranno raggiungerla mentre è avvolta nella sua essenza, ma allo stesso tempo può proteggerla a sua volta anche se è piccina contro il suo petto. « No, tu » ribatte a quello sciocco gioco, per l’ennesima volta, baciandole lo zigomo per poi spostare la testa all’indietro e fissarla negli occhi « Infatti io sono una bimba grande » dice con una voce stupidissima che, onestamente, non si è mai sentita a suo agio da usare con Alois, prima « E tu sei troppo bello per non mostrarti al mondo » Anche se detto con un tono infantile, è certo che quella frase racchiuda un significato più importante, che sia la bandierina da piantare in cima alla montagna che hanno scalato in quei mesi: non vuole più nascondersi, ma soprattutto non vuole che Romée sia un segreto perché una persona bella come lei non si merita altro che essere amata al meglio delle sue possibilità. « C’è un giardino qua vicino, dobbiamo solo scendere un po’ » propone ma poco dopo si ritrova ad arrossire, che è vero che glielo sta dicendo spesso, che è bella, eppure sentirsi così al centro della sua attenzione, le fa provare un’emozione frizzante nel cuore. Non se lo fa dire due volte, Hazel, e poco dopo sta allungando il braccio per fare una serie di selfie con il suo cellulare, alcuni meno carini di altri. « Okay, a parte quella dove sembra che tu abbia visto l’apparizione della Madonna— » lo prende in giro zoommando la foto in questione, sghignazzando « Sai che ti riempirò il cellulare di queste foto? » Quando gli prende la mano, questa volta camminano più lentamente, l’una accanto all’altra, percorrendo i gradini all’inverso e varcando i cancelli di un parco ben tenuto, dove è possibile stendersi sull’erba. Anche lì, tra le fronde, è possibile avere una visione dall’alto di Firenze e, dritto davanti a loro, in linea d’aria, si erge la Cupola di Brunelleschi, un’opera di architettura dall’importanza non indifferente, che Hazel indica stendendo il braccio come se in prospettiva potesse tenerla sotto la punta dell’indice « Il sogno di ogni architetto. »
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    Romée Van Den Hoek
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    Non lo ritiene un gioco infantile, anche se la voce di Hazel lo è ed il sorriso che le rivolge, mentre la osserva baciata dal sole, sembra quello di un bambino. Forse il Romée di un tempo, quello pregno di sogni infantili e di grandissimi progetti, per qualche momento scalpita e si sostituisce al suo sguardo, mentre la osserva: perché negli occhi azzurri di Romée risiede la luce dello stupore, che ben poche volte ha avuto dipinte nelle sue iridi chiare. Forse il bambino che un tempo è stato e che seduto sul divano della casa dei suoi genitori ciarlava del futuro, adesso scalpita per poterla guardare con i suoi, di occhi, rendersi conto che nello stupore che si risiede nel cuore di Romée si cela una gioia autentica ed un tempo persino proibita. Quel bambino che è ora non si trova in Italia, con le braccia strette attorno alla donna più bella che abbia mai tenuto forte al petto; quel bambino siede nella cucina dei suoi genitori, osserva quegli occhi scuri fissarlo con lo stupore della domenica mattina, dondola i piedi oltre la sedia della cucina, ed aspetta. Attende in un anfratto della mente, mentre Romée osserva Hazel, e delinea nello sguardo le sue piccole fossette, i capelli rossi smossi appena dal venticello caldo, i vestiti che ha indosso, le gote leggermente rosate, quella minuscola macchia di mascara sciolto che nota al lato delle ciglia, e che senza attendere le strofina via: perfetta. « Sicuro sei bimba » gioca anche lei, con quel tono di voce che credeva d’aver perduto; qualche lontano ricordo torna a galla, nessuno che riguardi realmente Hazel o che abbia veramente importanza, ma nel momento stesso in cui si ascolta, sa che è finita, che ora che sta al gioco di voci ogni sua carta è pronta per venire scoperta, ed anche se fa paura, va bene lo stesso. « Grande non lo so » la stuzzica, rimanendo a guardare la sua espressione mutare, stare al gioco dell’obbiettivo, entro al quale persino Romée, sempre così preciso e composto, si lascia andare, ma non con la stessa vivida passione di Hazel, che ha sempre ritenuto non solo più bella ma decisamente anche più fotogenica di sé. « Guarda, questa è bella. Io ho appena avuto una visione, sì. Tu sembri una modella norvegese, qui, stessi colori e stessa altezza persino » la prende bonariamente in giro, le labbra si increspano in un sorrisetto, mentre abbassati appena gli occhiali da sole si ferma per poterla guardare negli occhi ed incontrare nei suoi il tono del gioco e poi ancora quello di una complicità che è lì, che acchiappa come fosse lo spago di un aquilone, prima di vederlo volare via. E proprio come con lo spago, la mano che stringe quella di Hazel è salda, e mentre i passi anticipano la visione che di lì a breve si dispiegherà dinanzi agli occhi di entrambi, sa bene che non sa a cosa guardare, perché se da una parte vi è una delle costruzioni più imponenti e rilevanti dell’intera storia dell’uomo, dall’altra percepisce lo sguardo scottante di Hazel, mentre percorre quei passi. Sull’erba bassa si siede, Romée, piega in uno e due risvolti le maniche già corte della camicia ed attende che Hazel faccia lo stesso, porgendole in anticipo una mano qualora dovesse servirle. « Già » mormora, e sebbene sia distante metri da loro, se non kilometri, lo sguardo di Romée riesce a delinearla con precisione. D’altronde l’ha studiata per anni, ne ha disegnato e ridisegnato linee e bozzetti, studiandone storia, architettura, conformazione: eppure ora che la guarda prova un sentimento strano, una sorta di distanza metafisica che si impone tra lui e quel luogo, ed il motivo lo comprende presto, perché se da una parte vorrebbe vagare le strade di Firenze per scoprirne tutte le meraviglie, ridisegnare forme e dettagli sul suo taccuino, lo sguardo si sposta su Hazel, sulla sua pelle appena dorata, sui capelli ramati, su quel terzo incomodo di vetro che si interpone tra loro, anche se è così vicina che anche da seduta riesce a sfiorarle la mano, mignolo contro mignolo, come è già successo mesi fa in un luogo completamente diverso da quello, dall’altra parte dell’Europa. E sebbene non sia propriamente sua intenzione, si rende conto d’aver quasi bisbigliato fuori un segreto, quando muovendo lo sguardo dalla Cupola a lei, borbotta « Piuttosto come ci si sente ad essere ritornate – ora, dopo tutti questi anni e quello che è successo nel frattempo? Le lettere che mi hai lasciato le ho lette e – e non so, semplicemente ci pensavo. »
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    C’è qualcosa nel modo in cui la guarda Romée che la fa stare incredibilmente bene, non si tratta del posto, è certa che potrebbero essere anche in una strada polverosa e trafficata e sentirebbe esattamente quello stesso brivido lungo la schiena tramutarsi in una dolce stretta al cuore, nel ricambiare il suo sguardo, nel sorridergli, persino nel dargli una piccola spintarella giocosa. Ci sono momenti in cui si sente ancora in colpa a paragonare questo con quello che da poco ha lasciato con Alois, a mettere su una bilancia le emozioni, nel domandarsi se con lui, anche all’inizio si sia mai sentita così. Ha passato cinque anni della sua vita con lui e per quanto Romée abbia avuto spazio nei suoi pensieri, lentamente sta mettendo in ordine la sua vita, i suoi desideri, e certe volte si domanda se immaginarsi con una persona che non sia Alois non avrebbe dovuto richiederle più tempo, forse persino più sofferenza. Ma con Romée è semplice desiderare tutte quelle cose che qualche mese fa stava costruendo con qualcun altro, o forse il punto è questo: le stava costruendo da sola e non se n’è accorta. Ma non c’è spazio per tristezza e rimpianti, non in quel momento, seduta in quel giardino, con la vista di uno dei posti che preferisce, con la persona che è capace di farle andare il cuore a mille anche da seduta e a cui rivolge un sorriso. Le lunghe ciglia sfarfallano nel guardarlo ed il capo si inclina, i lunghi capelli ramati le ricadono su una spalla e una mano si sposta per posarsi poco sopra il ginocchio di Romée, carezzare quella porzione di coscia che viene fuori dai pantaloncini, in un gesto intimo che nei mesi precedenti non si sarebbe mai permessa, non in pubblico. « Bene. » è una risposta spontanea su cui non riflette neppure più di tanto, poi volge lo sguardo anche lei verso il panorama, le guance che si fanno leggermente arrossate nel sentir parlare di quelle lettere, scritte molti anni prima, con una maturità diversa, stati d’animo diversi « Devono essere suonate molto ridicole, quelle lettere. » ammette con una piccola risata, una fossetta le si disegna sulla guancia « Ero… giovane, non che ora sia vecchia, ma mi sembra passata una vita da allora. Ma soprattutto ero— completamente persa di te. Una parte di me rimpiange di non averti detto tutto e subito, ma mi rendo conto che forse non sarebbe stato il momento giusto… per entrambi. » c’è maggiore fermezza in quel dire, rispetto alle settimane passate, una sorta di nuova consapevolezza che è maturata in Hazel negli ultimi tempi, da quando ha preso diverse decisioni per sé, in un certo senso stravolto la sua vita. « Nonostante le molte negatività degli ultimi mesi, sono giunta alla conclusione che questo percorso mi sia servito e che senza ombra di dubbio la Hazel che sedeva qui a scrivere a Romée, fantasticando cose— non è la stessa che è seduta qui, ora, con quello che spera si sentirà di diventare il suo Romée » Abbassa lo sguardo, la punta delle dita che disegna ghirigori sulla pelle dell’altro « E tu? Come ti senti? » e spera che sia chiaro che si riferisce rispetto a tutto ciò che è accaduto negli ultimi tempi, ché ne hanno parlato poco ancora, soprattutto del dopo, della strada che stanno intraprendendo.
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    Romée Van Den Hoek
    32 y.o. | Architetto | Amsterdam
    Il silenzio non è teso, né imbarazzante, non lo sono le labbra di Romée che sebbene non stia sorridendo le ha schiuse appena e sembra, assurdamente, stranamente, in pace. Quanto ha impiegato per ottenere quella pace, Romée, quanti anni spesi a guardarsi dentro, scavare con le mani nude per strappare ed estirpare il male, il dolore, la solitudine, la tristezza. Il silenzio non fa più paura, è riflessione, meditazione, anche quando in realtà c’è il cuore che corre e allora il silenzio non è tale, ma si sostituisce a questo un ronzio indistinto, un sibilio entro al quale Romée fatica a navigare. Ma non fa paura, nulla sembra potergli fare paura, adesso. Lo sguardo si muove, dal profilo di Hazel alle dita che sfiorano il ginocchio e non sa perché Romée ma si ritrova a trattenere l’impulso di stringerle la mano, baciarla, tirarla al suo fianco per stendersi sul prato e chiudere gli occhi, anche se il sole pizzica la pelle e non in maniera piacevole. Tuttavia, tace, né si muove, finché le parole di Hazel si accompagnano al sibilo del vento, e quando la osserva, con gli occhi coperti dalle lenti degli occhiali da sole, per un po’ si ritrova a non sapere bene cosa dire, perché a quelle domande che puntano dritte al cuore Romée, in fondo, non ha mai saputo ben rispondere. Si umetta le labbra, le dita pian piano si spostano su quelle di Hazel che gli carezzano la coscia e lentamente le scosta, prendendo però a giocherellare con indice e medio delle sue mani, finché le dita non diventano calde nella sua presa. « No » le risponde istintivamente, muovendo lievemente il capo come a rafforzare quel pensiero che nella testa non è soltanto reale, ma è saldo: non è vero che le ha trovate ridicole, non potrebbe mai. « Non dire così, rimangono comunque i pensieri della te del passato – e non sono ridicoli » sorride nel pronunciare quelle parole, le spalle scrollano in un gesto veloce, e quando alza gli occhiali per mostrare gli occhi chiari, sebbene socchiusi, tenta di trovare quelli di Hazel immediatamente. Un sorrisetto, furbo, si dipinge sulle labbra dell’architetto; « Eri? » la prende in giro, mentre il sorriso si amplia e mostra la dentatura bianca e ritta, « Non lo sei più? » scherza, ma in fondo una parte di sé sa che vorrebbe sapere per davvero quella risposta, nient’altro vorrebbe che sincerità, anche se è una domanda sciocca la sua e poi non così in fondo, lo sa, già conosce la risposta.
    Poi però ecco che torna il silenzio, lo sguardo di Romée si perde, gli occhi finalmente sembrano accorgersi della città che ha dinnanzi, ma non il cuore. Il cuore sa dove si trova, e non importa in questo momento, ma finché lo sguardo si può celare e nascondere tra le guglie delle cattedrali sparse in tutta Firenze e ben oltre la cupola che si poggia su di otto angoli, sente di potere prendere del tempo. Quel tempo necessario per pensare, mettere in ordine pensieri già ordinati, come quando la domenica pomeriggio si ritrova ogni tanto a ristirare le camicie già piegate, solamente per prendere tempo e riflettere. Come si sente non se lo chiede da un po’ e sebbene possa rispondere “Bene”, in un primo momento, sa che le labbra celerebbero una realtà decisamente più complessa di quella – tornare coi piedi per terra dopo aver vissuto in bilico per mesi è difficile, gli assetti dell’equilibrio cambiano e deve tornare a cambiare anche Romée. Non sa se sia lo stesso per Hazel, non sa se quelle domande che si sta facendo valgano anche per lei. « Ci siamo fatte del male, non lo pensi? Ma nonostante ciò sono felice all’idea di poter mettere un punto ed iniziare, più o meno, da capo. Abbiamo fatto del male a noi e ad altre persone, questo è indubbio, ma… Non riesco a sentirmi in colpa quanto dovrei, non quando tutto quello che abbiamo fatto ha portato a questo » le dice, le dita sono ancora strette alle sue, ma finalmente lo sguardo si sposta e torna a quello di Hazel, un angolo delle labbra si muove appena verso l’alto, è un sorriso amaro ma non triste, anche se ad un primo sguardo potrebbe sembrarlo. « E penso delle volte che non vorrei nemmeno iniziare da capo, perché anche se in maniera forse sbagliata, abbiamo costruito in questi mesi qualcosa che io non ho avuto con nessuno, prima. Non so se mi fa paura, non so se è un bene o un male, persino, so soltanto che mi sembra questa la strada giusta da intraprendere, ma senza doverci più nascondere. Ho trascorso una vita intera a farlo, adesso non ce la faccio più » le dice, le dita si muovono sino a stringere ancora di più le sue, non c’è rancore, rammarico, nella voce di Romée, piuttosto è una dolce riflessione, la sua, mentre spinge verso di sé le dita di Hazel sino a baciarle il dorso della mano con uno schiocco delicato delle labbra. « Non se riguarda te, o me, o un noi. »
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    HAZEL O'CONNOR
    31 y.o. | Art history teacher | Amsterdam
    Quante volte ha sperato in un momento del genere, poter condividere con Romée quel posto, la luce aranciata del tramonto, quei sentimenti che poi le sono parsi sciocchi ed inutili. Insomma, soffrire per una cotta mai neppure rivelata, per essere arrivata in ritardo alla consapevolezza di voler avere di più con qualcuno che, forse, si era già dimenticato di lei. Ecco cosa fa sembrare, adesso, quelle lettere ridicole, agli occhi di Hazel. O forse è che quello che c’è adesso tra loro sembra infinitamente più grande, più maturo. Inclina il viso di lato e sorride nell’incontrare le iridi cerulee di Romée, un sorriso sghembo che sembra trattenere le parole che vorrebbe dirle da anni, da mesi, da giorni e che si sono fatte spazio nel suo petto per una seconda volta nella sua vita, in maniera ancora più dirompente della prima. Così in quel silenzio Hazel si ritrova ad osservare il profilo di Romée, le proprie dita contro il palmo tiepido della sua mano, ed il profilo del suo viso sembra ritagliarsi spigoloso e perfetto contro lo sfondo del cielo azzurro, in primo piano rispetto alla città che fa da sfondo. Ed è quella la realtà: per quanto possa amare qualcosa, non potrà mai amarla quanto ama Romée, nessuna città è più importante di essere lì con lei. « Neppure io mi sento in colpa » ammette, ma non con leggerezza, quel pensiero l’ha tormentata negli ultimi mesi, l’è venuta a cercare nel silenzio, mettendola in dubbio su ogni cosa, prima di tutto su quanto potesse considerarsi una brava persona dopo tutto quello che ha fatto ad Alois. Non si sente in colpa e, anche in quel momento, una parte di lei le bisbiglia che dovrebbe farlo, che non può andare avanti nella sua vita nella consapevolezza di aver lasciato indietro un uomo quasi sull’altare, dopo aver spedito inviti per un matrimonio che non si farà mai, dopo aver deluso tutte le aspettative possibili. Ma lì ove gli improperi di sua madre e sua sorella e sua suocere ed Alois ancora bruciano, c’è la voce di Romée che placa le ansie, che come unguento fresco sulle ferite anestetizza il dolore. « E una parte di me si sente orribile per questo » la voce si spezza e i grandi occhi si sono fatti lucidi « Perché forse non mi merito di essere felice e non mi merito di stare qui, con te. Ma perdere tutto ciò che abbiamo costruito, anche se ferendo qualcun altro, mi sembra la cosa più stupida che possa fare. Dopo tutto questo tempo… » scuote la testa e nel momento in cui le labbra di Romée si poggiano dolci sul dorso della sua mano, piccole lacrime iniziano a scivolare sulle guance di Hazel che emette un sospiro tremante. E allora ruota la mano ritrovandosi a racchiudere il volto dell’altro nella curva del proprio palmo, e quanta tenerezza prova nell’osservare gli occhi di lui addolcirsi e socchiudersi, nella morbidezza persino di quello zigomo che all’apparenza sembra possa tagliare « Io ti amo, Romée. » pronuncia, rendendosene perfettamente conto, viene fuori come una povera creatura da una gabbia. Una liberazione, un sollievo. E le riempie il petto come se fosse la prima volta che glielo dice, come se tutte le volte che se lo sono bisbigliato facendo l’amore, di nascosto, con l’ansia di una telefonata o di essere scoperte, non valesse altrettanto. Come se adesso fosse tutto diverso. Chi ha mai avuto l’occasione di innamorarsi due volte della stessa persona? Nonostante il tempo, nonostante la vita. « E non voglio mai più fingere che non sia così, che non ti ami con tutto il mio cuore. Non voglio fingere in una stanza con due letti singoli, non voglio aspettare il tempo che sembra giusto per gli altri e non rispettare quello che è giusto per me. Non mi importa più di cosa pensa la gente, mi importa solo di quello che pensi tu e mi dispiace di averci messo così tanto per capirlo. »
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    Romée Van Den Hoek
    Telling me you miss me,
    can you come around?
    È come se in un primo momento non riuscisse a sentirla, le parole di Hazel risultano lontane, per un istante soffocate all’orecchio di Romée, che guarda avanti e poi muove lo sguardo una volta ancora, esitando a guardarla ora nel perdersi con gli occhi azzurri verso il cielo. È un bel cielo, pensa, da dividere in due, un bel cielo da guardare mentre i capelli di Hazel si illuminano di fuoco ed altrettanto fanno le sue guance, una bella vita, per quanto sofferta, da vivere. Ed in questo pensiero, che lento cala a scuoterle il cuore, si ritrova ancora una volta in ascolto, a chiarire quanto le ha detto nel retro della mente, in quella parte di cervello che ha prestato ascolto e che razionalizza quanto le sta dicendo. Sembra una vita fa, ora, un dolore passato di un altro uomo, o ancora, di un’altra donna: perché anche se esiste e anche se bene ancora lo ricordi, c’è una parte di sé che vuole chiudere tutto in un anfratto della mente, tra i ricordi dolci ed amari che si mescolano nell’altezza tra il cuore ed il palato, che avviluppano la gola e rendono difficile il respiro, anche se per la prima volta in giorni, settimane e se non addirittura mesi, si sente in pace. In pace con sé stesso, in pace con Hazel, in pace col riflesso allo specchio di uomo e donna che è assieme, in pace con quella città, in pace con la mano che stringe alla sua, in pace col sole che le carezza gli occhi castani che diventano di miele, mentre la guarda, in pace con le parole che pronuncia e che rivelano una verità che conosce per metà. Non c’è colpa, nell’amare, nemmeno a quel modo, anche se è sbagliato. Allora la gola graffia, a quella consapevolezza, e non solo la gola ma anche gli occhi chiari che devono combattere col sole che picchia ancora, nonostante sia quasi sera. Alois, ogni tanto a lui pensa, al fatto che la sua sola presenza gli abbia sconvolto la vita, e che se forse quel giorno il progetto non le fosse stato affidato e lei non avesse insistito per occuparsi personalmente di Hazel e del suo allora fidanzato, allora probabilmente non sarebbero qui. Non ha mai creduto al destino, eppure... E Romée che ha sempre pensato al tradimento come qualcosa di estremamente sbagliato ed immorale, ci vede conforto, una nuova certezza, che fintanto che ora si guardano e sono vicine in un’altra città, in un altro paese, allora ogni cosa ricade al posto giusto: fingere di non essersi viste, fingere che non abbia pianto al suo solo pensiero, fingere dinnanzi ad un fidanzato poco premuroso, davanti ai suoi amici di una vita fino a creare una realtà diversa per entrambe, ne è valsa la pena. Anche se ora non sa che farne di quella lingua condivisa in due e due soltanto, dei messaggi cancellati nel telefono di Hazel, delle notti in cui avrebbe voluto figurarsela al suo fianco ed invece probabilmente dormiva stretta da due braccia che non erano le sue, se non, tentare di trasformare ogni cosa per inglobarla in un sentimento nuovo, in una realtà diversa. Trascinarsi in una vita nuova, senza segreti, senza mezze verità, come può fare paura? Eppure mentre la guarda e la ascolta Romée è in silenzio, acquieta il desiderio di fumare per trascinare via tra un tiro e l’altro il nervosismo, ed ora che la voce di Hazel si spezza, vorrebbe solamente avanzare per poterle raccogliere le lacrime dagli occhi grandi, ma sa che certe cose non possono essere più taciute, e combatte con lo stomaco e con l’istinto di dividere ancora le distanze per consolarla, ancora ed ancora, come è successo in tutto quel tempo. Ma ora Romée ha bisogno di risposte, ha bisogno di sapere e di capire, ha bisogno di sentirsi dire quelle parole che bruciano ancora nella lingua di Hazel e che sente, ogni tanto, strette tra le sue labbra, ma che bruciano al fondo e che raschiano nelle consapevolezze lasciate a metà. Allora le labbra si muovono dal dorso della sua mano, ed è un istante, che ritrova il proprio viso stretto tra le dita di Hazel, ed in quella mano, piccola, molto più rispetto alle sue, socchiude gli occhi. Vuole sentire la sua voce, vuole negarsi la vista delle lacrime ora che sa di non poterle scacciare da sola, vuole che il vento soffi sul suo viso imprimendo nella memoria la sensazione del cuore e dello stomaco che si scaldano e del corpo che si piega, a quel contatto. Vuole che ogni cosa si incida nella mente, perché è per quel motivo che si è innamorata di Hazel, perché profuma della casa che vuole costruire con lei un giorno, perché le sue lacrime sono fiumi conosciuti, dove al suono del ruscello si mescola quello della sua voce, dove la calma del suo respiro, seppure tremante, è il vento di montagna in primavera che da vita nuova ad ogni cosa. E perché lo sa, che la ama anche lei, anche se è solo ora che glielo dice: gli occhi di Romée tremano, le labbra hanno un fremito e per un po’ rimane in silenzio, spera che gli occhi parlino, siano in grado di farlo molto più della voce che manca. Non è una sorpresa, eppure nemmeno una certezza, e sebbene solo poche settimane prima avrebbe pregato e pianto, per sentirglielo dire, per sentirle ammettere quella verità al di fuori dallo spazio ristretto di un letto, dove l’amore delle volte contava appena, ora si limita a guardarla. È una sensazione diversa da tutte quelle che ha provato negli ultimi anni, di cui ha una memoria, forse, antica. Un sospiro del cuore, mentre il corpo si ammorbidisce, mentre lo fa anche il viso, gli occhi che diventano grandi, le pupille che si dilatano, le parole che spingono per uscire ed invece lo fanno appena, nel sussurrare un « Hazel– » timido, come se non le avesse urlato e sbraitato davanti al viso quegli stessi sentimenti poche settimane prima, come se non l’avesse sentita un condominio intero urlare su di un pianerottolo alla ricerca di risposte, alla ricerca di una verità che provenisse non soltanto dai suoi occhi, ma anche dalla sua voce, dal fondo del suo cuore. Ora però non riesce, fatica a pronunciare per causa dell'emozione quel “ti amo” che invece urla nel retro della mente, ma una parte di sé lo sa che può capirla, che può comprendere il freno della voce così come il corpo che invece risponde. Ed è, quello, tutto ciò di cui aveva bisogno, per potersi piegare in avanti, sfiorarle il viso con una mano e stringerlo tra le dita e farla vicina, tanto da riuscire a baciarla come forse non ha fatto, e sentito fino al petto, in troppo tempo.
    architetto | XXXII | amsterdam

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    Hazel O'Connor
    Mi sono innamorata di te quando eri triste
    quando la grana dei difetti era evidente
    E poi gli occhi di Romée diventano cielo e mare aperto, in cui volare e in cui tuffarsi, senza distinzione, come guardare dall’alto e vedere solo quell’azzurro fino a smarrirsi. Ama anche quegli occhi, pensa, che sanno dire tutto anche in silenzio, li ha amati sin da quando li ha incontrati la prima volta in quell’aula universitaria, mentre metteva in ordine le matite sul banco. Quel silenzio non delude, perché è pregno di tutto ciò di cui ha bisogno, di quello che sa già e anche di quello che invece non vede l’ora di scoprire insieme a lui; basta un sospiro, il modo in cui Romée diventa morbido, sembra quasi un’onda che si modella poco prima di infrangersi contro lo scoglio, senza farsi male, ed il cuore di Hazel straripa di quel sentimento appena annunciato, finalmente libero da ogni catena, libero persino da sè stessa. Ed anche se Romée non glielo dice, lei lo sa, lo sente che la ama, dal modo in cui la bacia in pubblico, nei giardini sotto Piazzale Michelangelo con la cupola del Brunelleschi a dominare il panorama di Firenze che si apre sotto di loro. Come un film, come aveva immaginato anni prima e meglio ancora, perché nel cuore ora sente la tranquillità delle cose giuste, della certezza di non volere nessun altro lì. Nel retro della mente non c’è spazio per nessun altro che non sia Romée, mentre strofina le dita sulla sua nuca e la bacia, per sentire contro al palato quella parola che si scambiano ancora e ancora e ancora ti amo.

    ( … ) ed ora sono su uno di quegli striminziti letti singoli, in quella ridicola stanza in cui, ancor più ridicolmente, si sono illusi di poter fingere ancora di non aver sperato o desiderato quel momento. Hazel ridacchia, a cavalcioni su Romée che è seduto sul bordo del letto, gli accarezza il viso, lo bacia tra le sopracciglia, poi la linea della mascella intervallando quei piccoli tocchi con il suono di quella frizzante allegria che ora rende quel momento ancora più speciale. Come due bambine al luna park, finalmente non ci sono lacrime, non c’è amarezza di sottofondo nello stare assieme, nel condividere il letto, i baci, l’amore. Come ci sono tornate in albergo quasi non ne ha memoria, fatto di fretta, stringendo la mano di Romée nel correre tra strade sconosciute eppure conosciute, scambiandosi sguardi non in grado neppure di mentire. Il vestitino leggero è risalito lungo la coscia, in quella posizione, percepisce le dita affusolate di Romée accarezzarla e farla rabbrividire di una sensazione che arriva alla bocca dello stomaco e scivola giù, al basso ventre. Le sue, di dita, hanno ancora l’eco della crema che gli sta spalmano sul setto nasale e gli zigomi che si sono fatti decisamente arrossati, a causa del sole, motivo per cui Hazel sta sul serio ridacchiando o, forse, era perché Romée si era aspettato le salisse in grembo con ben altre intenzioni. Non che quelle intenzioni non ci siano, sta solo giocando con lui ora che possono farlo, ora che non c’è la fretta dettata dai segreti, dalla paura di una telefonata, delle scuse da doversi inventare. Nessuna scusa, ora potrebbero passare tutta la vacanza chiuse in camera e nessuno direbbe nulla. « Se continui ad aggrottare la fronte così, ti verranno le rughe molto presto » bisbiglia allargando ancora le labbra in un sorriso un po’ infantile, ma pregno anche di tenerezza, i lunghi capelli ramati le scivola lungo le spalle scoperte dalle spalline del vestitino.

    insegnante |31 y.o. | amsterdam

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    Romée Van Den Hoek
    Telling me you miss me,
    can you come around?
    Non sa perché, non saprebbe dire nemmeno quando, la felicità assume il colore di due occhi ambrati. Basta uno sguardo, il suono di una risata, che il cuore di Romée si riempie, sorride anche lei, sebbene tra le ciglia che celano gli occhi azzurri si celi non troppo in fondo l’emozione. È diversa, dalle ultime volte che hanno condiviso lo stesso letto assieme, priva dalla colpa e dal rimorso, dalla fretta del tempo pressante che scorre. Forse per la prima volta dopo anni, nel condividere una stanza con qualcuno, si sente - libero. E felice lo è stato, con Hazel, ma anche in quegli attimi di felicità ha sempre guardato all’orologio con l’angosciante colpa e paura del tempo. Ora però non c’è più il tic tac che lo scandisce, non c’è più una voce a sottrarla da lei, mani con la quale dovere dividere Hazel, labbra da odiare per il torto compiuto di baciarla al suo posto. Il tempo è fermo, e non più spaventato o colmo d’angoscia è lo sguardo che le rivolge. Bruciano ancora sulla lingua le parole che non le dice, si cristallizzano nel sorriso che quasi muore, mentre la guarda e le mani di Hazel si muovono su di sé, sulla pelle che brucia e che, però, non fa male. Non lo sa come, Romée, ma di Firenze non ricorda nulla, eppure per anni della sua vita ha sognato il giorno in cui avrebbe messo piede in quella città. Non c’è però opera d’arte o struttura che sia in grado di catturare la sua attenzione come fa Hazel, come i suoi occhi sono capaci, mentre la stringe e cammina con lei in quelle strade sconosciute, che profumano di un passato che non le appartiene e che sanno di futuro. Che profumano dell’odore dei capelli di Hazel, di quello della sua pelle, che risuonano della sua risata mentre nell’ascensore la spinge piano ad un angolo per poterla baciare, senza fretta. Allora la guarda, Romée, e potrebbe giurare di sentire i suoi occhi brillare e bruciare assieme, mentre la osserva, mentre una delle mani si muove dalla coscia di Hazel che siede su di sé fino a sfiorare con la punta delle dita i suoi fianchi. Lo sa a che gioco sta giocando Hazel, e gli piace, che non ci sia la feroce fretta che spezzerebbe ad entrambe il respiro, le piace l’idea di congelare quel bacio che dentro di lei scotta, mentre lascia che spalmi la crema sul ponte del naso e degli zigomi e si sente, d'improvviso, piccolo - un po' bambino. « Speravo di piacerti di più, sembrerei più saggio con più rughe » borbotta Romée, e non riesce di certo a soffocare quel sorriso che nasce sulle labbra sottili, mentre piano le dita della mano che le tocca la coscia si muovono, a carezzarle la pelle. Sono movimenti lenti, quelli che esegue con l’anulare ed il medio, e che silenziosamente emulano un contatto che è -- sbagliato, che dovrebbe essere decisamente più profondo di quello. Ma non si lamenta, anzi -piuttosto sorride divertito Romée, perché non è certo che la sua attenzione sarà salda ancora a lungo, men ch emeno quei falsi buoni propositi che sta fingendo di mantenere mentre esita, prima di avvicinare il viso a lei. Sa che non dovrebbe, perché la crema è ancora appiccicosa, ma male che vada le comprerà un altro vestito. Le bacia una spalla scoperta, allora, strofina con la punta del naso l’attaccatura del collo e delle spalle, prima di tornare a guardarla. Non può che sorridere di rimando, quando nota la natura di quello di Hazel. « O no? » chiede, ma lui per primo non è certo di quale sia la domanda. Sa solo che è bella, Hazel, e che le mani che le sfiorano i fianchi si muovono lente verso il basso, quasi a stringerle le natiche, mentre sistema sé stesso ed Hazel sedute.
    architetto | XXXII | amsterdam

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    Hazel O'Connor
    Mi sono innamorata di te quando eri triste
    quando la grana dei difetti era evidente
    Le labbra si arcuano verso l’alto, le sente le dita di Romée sulla pelle che lasciano una scia invisibile, che le fanno desiderare un contatto diverso, più profondo; a suo modo, però, è piacevole congelare quell’attimo, attendere con lentezza estenuante che la fiamma nel suo basso ventre appicchi un incendio. Ricambia quell’attenzione inclinando il viso « Mi piaceresti in ogni caso » ammette in un bisbiglio, le labbra poi si imprimono all’angolo delle labbra dell’altra e lì indugiano per diversi istanti, come a lasciare a sua volta un’impronta invisibile. Solo quando si stacca aggiunge « Mi piaci sin da quando avevi dei gusti di abbigliamento piuttosto discutibili e non avevi ancora capito come acconciarti i capelli » scherza, arricciando il naso, e anche se ha le dita unte di crema solare, prende ad accarezzargli la nuca, strofinando lì ove i capelli sono più corti. Le labbra le tremano appena e gli occhi si socchiudono per un secondo nel percepire distintamente i ghirigori di anulare e medio contro la pelle, come se le stesse diventando molto difficile pensare in maniera coerente. Eppure, quando li riapre, le sclere azzurrine di Romée sono lì, ad accoglierla, a giocare a rimpiattino, la braccano in un circuirsi tanto silenzioso quanto palese. « Mi facevi impazzire, sembravi non appartenere a questo mondo, così inafferabile— » racconta ed è come una liberazione poter finalmente esprimere i sentimenti, inghiottiti negli anni, ad alta voce e senza alcuna paura. Si ferma, non riesce più a ricordare cosa stava cercando di dire, quando l’altra strofina il naso contro il proprio collo e anche Hazel, piega il viso in un angolo che le permette di raggiungere a sua volta la spalla di Romée, inspirare il suo profumo. Si modella a lui, come se fosse fatta di creta, le si vede chiaro nelle pupille che si dilatano quanto le piaccia il modo in cui le stringe le natiche e quasi spontaneamente, poggiando le mani sulle spalle dell’altro, si sistema finendo a cercare frizione contro il bacino, in un piccolo movimento sinuoso che, lo sente, viene accompagnato da quelle stesse mani che la stringono. « Mi fai impazzire ancora. » è l’unica conclusione vagamente coerente che bisbiglia a mezza bocca, reclinando i mento per guardarlo in quegli occhi che hanno il colore dei giorni più luminosi, lo stesso giorno che c’è ancora fuori dalla finestra ma che lei non è capace di vedere più, perché il mondo ora sembra girare completamente attorno a Romée. E anche se la voce è più roca, il corpo più caldo ed il cuore più veloce, sprizza pura tenerezza il sorriso che ancora una volta le rivolge, mentre con la punta delle dita gli sfiora la linea della mascella decisa « Sembra ti abbia scolpito Michelangelo, sono passati dieci anni e non mi stanco mai di guardarti. »
    insegnante |31 y.o. | amsterdam

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